NUOVO REPORTAGE

COTONOU….E IL RESTO

   

Prima di tutto ti investe il caldo…un vento umido e familiare che ti fa sentire ancora una volta …a casa, e poi di nuovo la folla dell’aeroporto, l’attesa dei bagagli che non arrivano mai, carrelli ammucchiati a ridosso del nastro trasportatore, barriere umane in paziente attesa…poi finalmente in uscita per ritrovarsi ancora nel  traffico disordinato e rumoroso di Cotonou.

Cotonou, una città che cambia volto,  la città è un cantiere, costruzioni a decine e strade in rifacimento, deviazioni e percorsi improvvisati  allungano di chilometri le distanze di poche centinaia di metri; non capisco cosa succeda, perché tutto questo darsi da fare ? operai di tutte le età lavorano notte e giorno, al mattino le file di ragazzini in cerca di lavoro si ammucchiano per guadagnare la loro giornata, hanno il volto impolverato dal cemento, stracci sporchi addosso e infradito a volte troppo corte, i volti impassibili e senza espressione. Sono queste le braccia che portano guadagno a qualcuno che li assolda ogni giorno per pochi centesimi; a loro la solita “Akassà”, pasta di amido di mais con un po’ di pomodoro piccante, è questo che dà loro certezza, è questo che li fa sentire al mondo…..l’Akassà.

E’ la loro vita, la vita di chi ogni giorno scava un solco sempre più profondo e che traccia un percorso che parte dall’akassà del giorno all’akassà della sera, mentre una città del Terzo mondo cambia improvvisamente volto, ci si rende conto che è solo una questione di maquillage mentre le viscere di tanti, troppi bambini si contorcono dalla fame  nel resto del paese.

Un Summit a luglio di tanti capi di stato africani deve rendere questa città accettabile e presentabile: ma dove si nasconderanno le miserie? Come rendere ancora più invisibili gli invisibili agli occhi del mondo? Semplice basterà far finta che non esistano, che siano lì per caso, ma che non ne facciano parte, nessuno ne terrà conto.

Ci si chiede da dove arrivino tutti questi soldi, da dove arrivino i ponteggi in ferro, le ruspe, le betoniere costantemente in funzione, tanta teconolgia che prima non esisteva, si vedono le ruspe che buttano giù impietosamente le piccole baracche ai lati delle strade…chi arriverà tra qualche mese vedrà strade larghe e ordinate, mentre l’ombra di chi vendeva ai lati delle strade si sarà spostata in luoghi più nascosti, più lontani per ricostruire…forse, la piccola attività commerciale.

Il piccolo commercio in Benin è la base della sopravvivenza per milioni di persone, si fa piccolo commercio nei villaggi e nei centri più grandi come Cotonou, Portnovo, Parakou, Natitingou e in ogni angolo di strada, frutta, carbone, manioca, peperoncino, gallette di mais o di arachidi, le immancabili infradito, ora si vedono sempre di più i carretti a pedale dei gelati o dello yogurt con la classica trombetta che fa da richiamo.

Il traffico intenso, le migliaia di motorini che si infilano pericolosamente con i loro carichi fuori peso e fuori misura, camion che cascano a pezzi ed sbuffano un  letale fumo nero, il caldo, le voci, le donne con le immancabili merci sulla testa fanno di questa città qualcosa di unico e di indescrivibile a parole ma che ti fa sentire comunque accolta, comunque a casa, il porto sempre in fermento, sempre intasato di container che sbarcano centinaia di automobili quasi nuove, le 4×4 tanto ambite in questo paese, traffici o commercio? E chi lo sa?

Palazzi di molti piani si stanno costruendo senza sosta, chi li abiterà? Il denaro che circola a Cotonou e il giro d’affari che sembra esserci è un vero mistero, non si sa e non si vede da dove arrivano i soldi, da chi e a chi siano destinati…Benin un paese in pace, un paese che apre le porte e che ti accoglie, ma che non discerne, c’è posto per tutto e per tutti, ognuno qui crea la sua personale realtà a scapito o a favore di qualcuno: puoi prendere o puoi dare, demolire o costruire a tuo piacere e poi osservare, vivere e godere della tua creazione, è una realtà magica e paradossale  che puoi masticare come un chewin gum e sputare quando sei stanco del suo sapore.

Ognuno qui trova il suo posto, il proprio ambito e il proprio adattamento, il Benin lo si può vivere dall'interno entrando nelle sue viscere fino a sentire il bruciore delle sue tante ferite o stare sulla sua pelle vedendo solo ciò che appare e scivolarci sopra con leggerezza, puoi girargli le spalle e puoi affondare le mani nelle pieghe della sua affascinante cultura fatta di rituali e cerimonie, di cicatrici imposte sui volti dei bambini .

Aprile 2008 è anche periodo di elezioni comunali e per le strade imperversano le rumorose campagne politiche fatte su mezzi di trasporto arrugginiti e claudicanti che pietosamente accompagnano sostenitori eccitati i quali portano legato intorno alla testa il manifesto del loro candidato.

Alla televisione si sprecano le promesse, i candidati urlano e spergiurano vantaggi di ogni sorta a favore della povera gente disperata ed ingenua che voterà in più seggi contemporaneamente per accontentare più di uno che forse ha dato loro mezzo euro per comprarsi la candidatura.

Urla e promesse si spegneranno fra breve, non appena qualcuno avrà vinto e saprà finalmente che non dovrà più preoccuparsi per i prossimi 5 anni.

Se togliamo l’audio alla tivù e osserviamo i politici urlare e poi andiamo nei villaggi silenziosi, terrosi, le capanne e gli alberi attaccati al suolo accaldato a dare un volto uguale a tutti gli altri, lontani ….come tutti gli altri, lontani da quelle promesse, da quelle urla inutili, si vede subito come stanno le cose.

Nessuno tra quei politici urlanti rappresenta questi bambini, queste madri senza risorse, la tosse costante che esce dai bronchi affaticati di troppe persone prive di cure, prive di sostegno, nessuno di loro sa né vuole vedere che tendere una mano non significa fare promesse e che donare non è una perdita, è un atto di dignità che restituisce la dignità tra esseri che non sono separati dal bianco o dal nero, dal denaro o dalla povertà, dall’egoismo o dalla generosità…

Siamo semplicemente Esseri e siamo  tutti  in cammino….