Sensazioni sull’Africa

” Sensazioni sull’Africa” di Roberta Colombi

Cosa ti aspetti da questo viaggio? L’interrogativo, posto alla partenza da un’ amica, ogni tanto risuonava nella mente, ma non avevo fretta di darvi risposta. Ero stata spinta dalla mia voglia di conoscere il diverso, di mettermi alla prova forse, ma non mi preoccupavo di cercare di capire i motivi più profondi, sicura che sarebbero emersi lungo la strada. Avrei atteso la risposta. Come si attende tutto in Benin, una partenza, un arrivo, una cena, una persona, il tempo si dilata fino a diventare invisibile, non esiste più. E così tu aspetti, e lo fai con il sorriso sulle labbra, godendo di quel meraviglioso paesaggio che ti circonda e dei sorrisi così bianchi che la gente regala ad ogni angolo della strada lontano dallo stress che noi conosciamo e dal nostro frenetico vivere quotidiano.

Sono i bambini i protagonisti di questa storia, piccoli uomini e donne che aiutano i genitori nelle faccende di tutti i giorni: preparano il cibo, puliscono le case, si prendono cura dei più piccoli, con una semplicità e una naturalezza che lasciano una sensazione di leggerezza, quella leggerezza che contrasta con la pesantezza della nostra società. E poi ci sono le donne, il cuore di questo paese. Sono loro che con la loro forza e i loro colori rendono calda questa terra, le donano quell’ incanto che ti entra nell’anima e non riesci più a mandare via e ti fa sentire “mancante” ogni volta che ti svegli al mattino ed esci per le strade fredde e grigie della tua città.

Così grigie in confronto alle lunghe strade rosse che hanno accompagnato tutto il mio viaggio e che mi hanno conquistato fin dal primo momento. Strade costeggiate da alberi di anacardi e di karitè, lunghi viali dei quali non si riesce mai a vedere la fine e che ti regalano scorci di vita: donne che trasportano grandi quantità di oggetti sulla testa, bambini che tornano da scuola, piccoli venditori di ogni sorta di bene, uomini e donne sorpresi e allo stesso tempo contenti di vederci, di conoscerci.

I centri di accoglienza sono le oasi di questo paese. Decine di bambini trovano rifugio in essi ed è uno spettacolo vederseli correre incontro con le braccia tese per mostrare quella forte voglia di conoscere e quella richiesta di affetto profonda che si perde nei loro grandi occhi neri. Qui ho imparato quanto un gesto da noi quasi scontato come una carezza per loro riesce qualcosa di davvero importante e mi sono resa conto della gioia che riesce a dare vedere sorridere un bambino. La magia è che questa sensazione di gioia si moltiplica e quando siamo andati a visitare le scuole, l’incontro con questa miriade di ragazzini che danzavano e ci sorridevano felici, mi ha lasciato senza parole.

Poi inizia il nord: i villaggi, i primi baobab, il sottobosco bruciato, la povertà di donne e bambini che ci si accalcano intorno e sono felici e quasi orgogliosi di farci vedere dove vivono, chi sono. E a questo punto sono io a sentirmi a disagio, io che nella mia città ho molto di più di quello che mi serve per vivere bene e, nonostante questo, mi porto dentro una sensazione di insoddisfazione perenne, ora provo un grande senso di affetto nei confronti di queste persone che hanno così poco ma che sono sereni, nell’attesa del tempo che passa.

L’arrivo a Ouidah è l’occasione per rendersi conto che l’Africa non è abitata solo da bambini e giovani, ma è fatta da persone legate a tante tradizioni antiche e al mondo magico degli spiriti. Per gli abitanti di questi luoghi sono infatti gli spiriti a stabilire il corso degli eventi, a determinare il destino umano, a decidere tutto quel che accade. E qui ho staccato dalla frenesia delle corse e degli spostamenti dei giorni passati e mi sono lasciata cullare dal rumore dell’oceano e dalle lunghe file di palme che costeggiano la bellissima spiaggia di sabbia.

E alla fine il ritorno a Cotonou da dove eravamo partiti, città caotica e inquinata di odori e rumori, città vivace, dove lo stile di vita occidentale si mescola a sfumature tradizionali. Al Grand Marché districandosi tra i vari banchi e venditori e stando attenti ad non finire sotto ai carretti che corrono freneticamente per i vicoli, è possibile acquistare di tutto: una radio, del cibo, delle pietre per collane ma anche animali vivi, resti di cadaveri di animali e feticci vodou. Gli odori sono forti, così come forte è il frastuono di questo bisogno di vivere che esplode tra le bancarelle lungo le strade.

Poi è arrivato il giorno della partenza. E’ difficile lasciare l’Africa ed è difficile lasciare i suoi abitanti: i loro colori, i loro sorrisi, il loro modo così semplice e allo stesso tempo così profondo di vivere. Non so se questo sia quello che tutti chiamano il mal d’Africa, se la sensazione straziante che ho provato nel lasciare questa terra e la sua gente è stata infinita, chiunque vada via da un luogo come questo non può far altro che sperare di ritornarci presto, di riabbracciare il posto che gli ha rubato un pezzo di cuore.

 

E ti ritrovi in una notte di primavera che sembra autunno con la testa ancora impolverata, di una polvere lontana, con il cuore un po’ spento di una tristezza vicina e di una mente che vaga su strade che sembran buie. Poi finalmente chiudi gli occhi e inizia il giorno. Un turbine di colori, odori, sensazioni ti annebbia la mente, tutto intorno a te e’ cosi’ forte che solo ora che sei lontano riesci a rendertene conto e senti come e’ straziante dovere farne a meno.

Dario e Roberta